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Recensione del "Quintetto" su ZEST-Letteratura Sostenibile

Updated: Oct 5, 2021


"Arianna Dagnino ci inoltra in una geografia provvisoria, in un sentire che sboccia in quanto dono e possibilità: c’è infatti un percepito che rende il suo libro una sorta di tuffo iniziatico, un invito da parte di chi intende trasferire la suggestione o l’impulso del viaggio, della curiosità." (Paolo Risi)

Ringrazio Paolo Risi per l'intrigante recensione del "Quintetto d'Istanbul" sulle pagine della rivista letteraria "ZEST-Letteratura Sostenibile".


Il Quintetto d'Istanbul (Ensemble Edizioni, Roma)

https://www.edizioniensemble.it/prodotto/il-quintetto-distanbul/


Leggi l'intera recensione qui:



La recensione di Paolo Risi Quintetto d’Istanbul ribadisce che il tema della transculturalità è centrale, talmente centrale che diviene sostanza, contenuto della letteratura.


Arianna Dagnino ci inoltra in una geografia provvisoria, in un sentire che sboccia in quanto dono e possibilità: c’è infatti un percepito che rende il suo libro una sorta di tuffo iniziatico, un invito da parte di chi intende trasferire la suggestione o l’impulso del viaggio, della curiosità.


Leggendo Quintetto d’Istanbul ancora una volta si prova sulla propria pelle la corrispondenza fra letteratura e vita: come non esistono linee di demarcazione entro cui sviluppare storie e personaggi, in alcun modo si giungerà a un’affermazione identitaria priva di contaminazioni e sufficiente a se stessa.


In una cornice di creative nonfiction l’autrice incontra 5 scrittori-personaggi (fra loro Tim Parks che, con i suoi interventi, agisce un po’ come collante all’interno delle conversazioni), li sollecita e ne registra le osservazioni in luoghi speciali di Istanbul, “la città-porto alla confluenza di più mondi, più religioni, più culture.”


Ad accomunare il quintetto è il credo verso la transculturalità letteraria, condizione congenita o articolata strada facendo, lasciapassare che permette di ingrandire la propria ispirazione fino all’ideazione di nuovi mondi.


Su un treno diretto nella città palcoscenico lo scrittore Ilija Trojanow ripercorre la sua vita errante, a partire dall’infanzia, quando i genitori decisero di fuggire dalla Bulgaria, allora soggiogata dal regime sovietico. È un esploratore avido, inappagato, Trojanow; si guarda bene da aderire a un modello culturale, per rincorrere e abbracciare pensieri, orizzonti e prospettive. Entra così in gioco la libertà, la transnazionalità che permette di cogliere – come lascito naturale – le occasioni lungo il cammino.


“Ogni definizione di appartenenza ha bisogno di un massiccio apporto energetico, cosa che comprova che non si tratta di uno stato naturale: cioè, solo se articolato scalando il gradiente energetico devi utilizzare energia, è una legge della fisica. Ecco allora che si potrebbe benissimo sostenere che la consapevolezza transculturale è lo stato naturale e che sono gli altri a essere innaturali perché si sono fatti rinchiudere dentro questa sorta di gabbia dell’appartenenza.”

Giunta a Istanbul Arianna Dagnino varca la soglia del Pera Palace, hotel che ospitò personaggi straordinari come Alfred Hitchcock, Greta Garbo, Mata Hari, Sarah Bernhardt, e in cui Agatha Christie, regina madre del romanzo giallo, scrisse “Omicidio sull’Orient-Express.” Nell’hotel foriero di infinite possibilità avviene l’incontro con Brian Castro, autore raffinatissimo, capace di distillare narrazioni sul confine del tempo. Le sue opere germogliano da un contesto ricco di stimoli, inerente alla propria famiglia e alla città in cui è cresciuto, la Hong Kong degli anni Cinquanta, già allora una delle metropoli più cosmopolite del mondo. Per lui i concetti di appartenenza e di identità nazionale suonano irrisori, una limitazione per certi versi offensiva.


Nell’incontro con l’altro possono scaturire frizioni, e tale evenienza può essere interpretata come un fattore di maturazione personale.

«L’ospitalità comporta sempre un trauma e bisogna esserne consapevoli. Il fatto è che non sono in molti a capire che insieme ai traumi, ai pericoli e al senso di perdita, arrivano le conquiste: è vero, aprendo la mia casa perderò qualcosa ma al contempo avrò acquisito qualcos’altro, non foss’altro la possibilità di confrontarmi con me stesso».


Inez Baranay attende Dagnino tra i vapori di un hammam, luogo che produce e asseconda complicità. Da subito le due scrittrici si ritrovano a condividere il concetto di “dispatriation”, tema esistenziale e filosofico, generativo a partire dall’intreccio di esperienze e confini attraversati. “Ho sempre sentito di provenire da più luoghi: dall’Italia dove vidi la luce, dall’Ungheria dei miei antenati, dall’Australia dove sono cresciuta quando vi emigrarono i miei genitori” rivela Baranay, sottolineando poi l’eccezionalità delle relazioni interpersonali in confronto al sentirsi parte di un’idea di nazione.


Categorizzare, individuare assetti in base a un radicamento sociale anacronistico: a questa visione è logico e conveniente opporre una tensione di prossimità, sia nella scrittura che nella vita di tutti i giorni.


Sempre Baranay: “Per alcuni, l’alone della nazionalità, dell’etnia o della razza sembra estendersi a malapena al di là dei confini di astratti atti burocratici, altri ne sono avviluppati. Quando poi arriviamo alle dicotomie occidentale/orientale, indiano/straniero, queste mi sembrano del tutto insufficienti, persino assurde ormai in molti contesti, su un pianeta di globalismi e anime globali, con una middle-class in crescita nei paesi in via di sviluppo e un numero sempre maggiore di indiani in giro per il mondo.”


Con Alberto Manguel (considerato il patriarca del quintetto di scrittori) viene approcciato il tema della lingua, di come il nomadismo e il conseguente avvicinamento agli idiomi locali sia propedeutico a una sorta di rinascita, di progressiva liberazione.


La necessità di ridefinire, di fornire apporti e stimoli: la fluidità delle espressioni linguistiche (nonché la “reciproca impollinazione e la trasfusione di una prospettiva culturale a un’altra”) favorisce l’erosione di usanze monolitiche, si rivela uno strumento indispensabile per l’autodeterminazione e l’elaborazione ontologica.


Esiste un’identità etica, ma nei quattro angoli del pianeta terra si agitano forze contrapposte, che replicano in grande il confronto con l’Altro, reale o immaginario che sia. In questo contesto la politica è chiamata a progettare, a superare se stessa e ancora una volta a fare esercizio di pragmatismo.


“La realtà politica – suggerisce Dagnino – è incentrata sulla costante negoziazione e ridefinizione delle barriere, qualunque esse siano – sociali, geografiche, culturali. Non si può prescindere da questo dato di fatto. Ecco perché la transcultura può esercitarsi quasi esclusivamente nell’alterità artistica, nella realtà surreale (o nell’irrealtà) degli spazi creativi e nelle forme di resistenza individuali.”


A partire da un tour di interviste – inframezzate da citazioni sempre puntuali e da memorie di viaggio dell’autrice – si compone un’opera che oltre a sviscerare il tema della transculturalità rivela aspetti inediti della personalità degli scrittori coinvolti. Dal globale alla riflessione intima vengono illustrati il positivo e il negativo del nomadismo, la vertigine di sentirsi cittadini del mondo e la discriminazione messa in atto da coloro i quali restano avvinghiati ai propri retaggi culturali.


Dagnino condivide con il lettore il privilegio di colloquiare con alcuni fra i maggiori esponenti della transculturalità, approntando scenari suggestivi nei quali risulta confortevole discorrere di esperienze di vita, di approcci stilistici e narrativi, di come la propria identità si compenetri nella scrittura.

Ma al di là della piacevolezza della lettura, di potersi proporre come osservatori in un gioco di rimandi e consonanze, il volume edito da Ensemble delinea prospettive che hanno a che fare con la politica, con la necessità di fondare società più integrate, in cui le contaminazioni culturali possano essere considerate un valore e non una minaccia.

Paolo Risi


Arianna Dagnino (Genova, 1963) è scrittrice, giornalisa, traduttrice letteraria e docente e ricercatrice presso la University of British Columbia. Ha collaborato con importanti case editrici italiane (tra cui Baldini & Castoldi, Castelvecchi, Fazi, Mondadori) e le maggiori testate giornalistiche nazionali (“La Stampa”, “Il Corriere della Sera”, “Nova/Il Sole 24 Ore”, “L’Espresso”). È autrice dei romanzi transculturali Fossili (Fazi) e The Afrikaner (Guernica Editions); di numerosi saggi sull’impatto dell’innovazione tecno-scientifica e delle dinamiche socio-culturali innescate dalla globalizzazione; e di articoli per le più quotate riviste nel campo della letteratura comparata e degli studi transculturali.

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